Senza il frastuono delle vuvuzela e orfani del polpo Paul
(che ci ha lasciati il 26 ottobre 2010) è ancora Mondiale… e noi ce lo siamo
giocato giusto ieri, perdendo miseramente contro l’Uruguay.
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La Roja vince il Mondiale 2010 in Sudafrica |
I nostri vicini spagnoli avevano il titolo da difendere,
però, ci hanno battuto sul tempo.
13 giugno 2014 – La selezione spagnola scende in campo
contro un’Olanda assetata di rivincita, decisa a ribaltare l’esito della finale
del 2010 in
Sudafrica.
E lo fa alla grande: rifila cinque gol agli avversari andati
momentaneamente in vantaggio con un rigore battuto da Xabi Alonso ma poi sprofondati
in un totale black out. La Roja (la Rossa) subisce la temuta manita
(lett. manina): 5 gol, come le 5 dita della mano.
Ho pensato che noi difficilmente avremmo fatto peggio… ora
so che ci attendeva la stessa fine, solo con un’agonia più prolungata.
Sono fiduciosa.
Riesco a vincere l’abbiocco che mi coglie sulle 23,
concentrandomi sui racconti mondiali di Rai Sport 1. Arriva il fischio d’inizio, sono super sveglia. Vinciamo 2-1
e giochiamo anche abbastanza bene, binomio che non sempre va di pari passo per
noi! Il resto è già entrato nella storia, una super figuraccia
con la Costarica e ieri l’epilogo con l’Uruguay.
la scritta “The end” campeggia sulla copertina della rivista
sportiva Marca il 19 giugno con la foto di Andrés Iniesta
di spalle con la testa tra le mani.
Ma torniamo alla Spagna.
Il 18 giugno è il momento della verità. Il banco di prova è uno
dei templi del calcio mondiale, lo stadio Maracanã, chiamato così da una specie
di loro (pappagallo) originario della zona di Rio de Janeiro.
L’avversario
da battere è il Cile di Vidal, pezzo glorioso della mia Juve. Non c’è la
goleada della prima sfida, ma il 2-0 per il Cile è una sentenza senza appello:
in meno di una settimana, i campioni in carica sono fuori dal Mondiale, ancor
prima di aver giocato l’ultima partita della fase a gironi.
Non era mai
successo prima e di certo la Spagna non ci teneva a questo primato.
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I calciatori spagnoli sconsolati dopo la sconfitta con il Cile |
La nazionale spagnola ha attraversato una fase eccezionale
che l’ha vista vincere dos Eurocopas (due Europei) nel 2008 e 2012 e el
Mundial del 2010, galeotto per il difensore Gerard Piqué e Shakira,
complice il Waka Waka.
Per non parlare del lungo strapotere di club come il
Barcellona di Guardiola e il Real Madrid fresco di vittoria in Champions League
contro un’altra spagnola, l’Atletico Madrid.
Poi all’improvviso, come
una doccia fredda, è arrivato el fracaso (la rovina).
La stampa spagnola non ha
cercato scuse:

"Cementerio de reyes” (Cimitero di re) e“España
fue el Titanic” (La Spagna è stata il Titanic) sono rispettivamente titoli
di El Mundo e El País.
Allo stesso tempo, però, ha dimostrato un ammirevole senso
di gratitudine per un gruppo di campioni che, negli ultimi anni, ha fatto
sognare gli spagnoli col loro tiquitaca, amato e odiato ma di certo
efficace… almeno fino al 13 giugno 2014.
Al Maracanã, dunque, si è consumata la caduta degli dei.
“Morto un papa se ne fa un altro”, ci si potrebbe consolare
così. In spagnolo si dice “A rey muerto, rey puesto” che letteralmente
significa “a re morto, re posto” ed è singolare perché, mentre in Brasile si
assisteva all’abdicazione sportiva dei re di Spagna, in patria c’era un vero re
che abdicava sul serio: Juan Carlos, nato a Roma 76 anni fa, lasciava la corona
al figlio Felipe (ora Felipe VI), quarantasei anni e una moglie di
origini borghesi, pure divorziata.
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Felipe VI saluta la folla con la moglie e le figlie |
Ufficialmente, il dovuto passaggio di testimone verso una
monarchia più moderna e al passo coi tempi.
Per altri, un gesto “agevolato” dai problemi di salute di
Juan Carlos e dalla scarsa popolarità dovuta a gaffes e scandali vari (secondo
alcune fonti avrebbe avuto 1.500 amanti).
Poco importa.
La secolare storia della monarchia spagnola continua, come la
storia della Roja nonostante le ultime cocenti sconfitte. Si
rimetteranno in piedi, arriverà sangre nueva (nuova linfa) ad alimentare
ancora il sogno.
Volveremos (ritorneremo) ha scritto un giornalista su
Marca.com e c’è da crederci.